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Categoria: Biografie

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              La memoria autografa, presentata in questa sezione, è stata scritta nell’anno 1881 e fa seguito all’incarico avuto da Feliciano Orlando come revisore dei conti comunali per l’anno 1879. A questo ufficio era stato incaricato anche un altro cittadino altavillese (?) che, per ragioni a noi sconosciute, declina il mandato con motivazioni di circostanza celando invece le vere ragioni del rifiuto ossia la presenza non gradita di Orlando, nel lavoro di controllo sui conti comunali.

           Questo stato di cose, accompagnato da una serie di malumori all’interno delle opposte fazioni politiche, induce l’Amministrazione comunale di Altavilla a revocare l’incarico di revisore affidato a Feliciano Orlando il quale viene addirittura indicato come incapace e contrario agli interessi del paese. A motivo di queste infamanti accuse, l'Orlando controbatte alle pesanti ingiurie e attraverso la memoria qui riportata, la quale per l'occasione viene resa pubblica, si rivolge direttamente ai cittadini di Altavilla, evidenziando una serie di elementi sufficienti a discolparlo da ogni accusa “…..con la sola e semplice eloquenza dei fatti che ognuno può aver veduti e può vedere….. “

*   *   *   *

 

 Il Consigliere Comunale Feliciano Orlando dinanzi ai suoi concittadini

di Altavilla Irpina

   Entrato nel Consiglio comunale al 1862 vi sono rimasto, senza interruzione fin oggi (19 anni), e n’esco secondo legge nel 1883. (leggi carteggio)

   Nel 1880 - I88l, la vecchia maggioranza scomparve: la nuova avendo a cuore il buon andamento della cosa pubblica cominciò un opera di revisione.

   Arrivata a me trovò che ero incapace di sostenere l'Ufficio di componente la commissione di vigilanza per le scuole comunali: fece scelta migliore.

   Dovendosi esaminare i conti del 1879 ed io ero uno dei revisori, la maggioranza stessa prese in considerazione una lettera del mio compagno in revisione, con la quale rifiutava l'incarico.

   Il riporto di questa lettera nella deliberazione come appresso, non era affatto richiesto dall'argomento legale del quale si occupava il Consiglio: aveva dunque un 'importanza tutta morale; e la moralità si scorge da quel che segue.

   I motivi del sudetto rifiuto si definirono gravi dalla Deliberazione del 10 Settembre l880, fra gli altri quello che “per la brevità del tempo non poteva (il revisore rifiutante) con regolarità e coscienza, adempiere il proprio suo dovere e non rispondere alla fiducia che gli aveva messo il Consiglio" (vedi la citata deliberazione, annullata senza nuova ragione dall'altra 7 Ottobre stesso anno).

   Io avevo fatto precisamente 1'opposto. Non solo non avevo declinato 1'incarico, ma mi ero affrettato a compilare il mio rapporto ed a presentarlo sollecitamente.

   Da questa antitesi discendeva per conseguenza logica che dei due revisori l'uno avrebbe fatto, ciò che far non doveva.

   E poiché la maggioranza impartì spontaneamente la sua approvazione all'operato del mio collega, quell'approvazione non poteva non includere la riprovazione del mio contrario operato.

   Laonde, se l'altro revisore si era dimesso, perchè la brevità del tempo non gli permetteva di esaminare i conti con regolarità; di esaminarli con coscienza; e di adempiere al dovere di corrispondere alla fiducia.del Consiglio; io atteso la mia sollecitudine; avrei esaminato irregolarmente quei conti: non vi avrei portato l'ausilio della mia coscienza, e finalmente non avrei corrisposto alla fiducia del Consiglio.

   Ben disse adunque la citata deliberazione essere gravi cotali motivi avvegnaché:

   pel 1° capo venivo indicato come incapace;

   pel 2° dovevasi vedere in me un uomo senza coscienza;

   pel 3° io avrei tradito gl'interessi del paese venendo meno alla fiducia del Consiglio che li rappresenta.

   Non rilevai né allora, né poi, il triplice indiretto biasimo, sapendo per esperienza che quando un paese ha in sé dei partiti, non le rose si spargono sul cammino di coloro che sono creduti avversari, ma che realmente non son tali.

   Volli dimettermi: lo dissi a molti: ne fui distolto.

   Ora sono venuto a conoscere che quel biasimo è stato portato in piazza da persone estranee al Consiglio ed all'amministrazione, dalle quali persone è stato parafrasato, come si è saputo e potuto: con l'aggiunta che venendo dall'Estero la mia fede di perquisizione avrei dovuto lasciare, per l'effetto, la sedia di Consigliere del Comune.

   Tali ingiuriosi propositi furono tenuti in pubblico, innanzi a persone che non mancheranno deporvi a tempo e luogo.

   Fraditanto, ognuno vede che non ribattendo l'immeritato attacco, verrei ad accettarlo per vero.

   Io dunque lo ribatterò, ma con la sola e semplice eloquenza di fatti che ognuno può aver veduti e può vedere.

   Farò dunque un rapido cenno della mia vita con quella sobrietà e moderazione, che l’argomento tutto personale, mi consiglia a tenere.

INCAPACITÀ

   Ad un tale addebito l'amor proprio che, come dicesi, è il più lusinghiero fra gli adulatori, mi richiama alla mente l'accoglienza fatta ed il frutto ricavato dalla gioventù alla vecchiezza in patria e fuori ai miei poveri lavori usciti per le stampe che metto a disposizione di chiunque nell'altrui, casa, o nella mia.

   Ne accenno qui due soli per la particolarità che li accompagna.

   Il primo: a Costantinopoli pubblicai un esegesi per i tipi Saracco sulle Commissioni miste e sulle dimande riconvenzionali in Levante; che ebbe l’onore di arrivare a Torino, nelle mani del Ministro il Conte di Cavour, dal quale mi venne chiesto nel I859 per mezzo del Console Generale di Sardegna il Sig. Cavaliere G. Luigi Pinna.

   Il secondo benché gravato dagli affari della mia professione legale, che non ammettevano discontinuità, e dai doveri della carica di Console Anseatico (come dirò), a premura e sotto gli auspicii del Barone Sig. Romualdo Tecco, Ministro per Sua Maestà Sarda in quella Capitale Ottomana, mi sobbarcai, tutto solo alla pubblicazione (io pel primo in italiano) di una effemeride politica.

Tutte queste fatiche inferiori alla mia volontà di lavorare ma superiori alle mie forze, dopo un anno mi fecero gravemente ammalare.

Dovei lasciare non solo il periodico, ma ben anche l'aria del Bosforo.

Riparai a Smirne clima dolcissimo.

   Tornando alla revisione del conto: gli antecedenti ora accennati mi persuasero che non era per cogliere un fiore nel deserto occupare un giorno o due a rivedere un conto semplicissimo di poche migliaia di £ire, tanto più che il meccanismo per sapere a mezzo di documenti come fossero state spese non mi era del tutto nuovo, avendolo conosciuto in altri anni nella stessa qualità di revisore.

COSCIENZA

   Nacqui povero, da Michele Orlando, medico, e Saveria Villani, nel 12 Febbraio 1801.

   Orfano nella mia pubertà ereditai dai miei genitori la metà della casuccia che abito e pochi metri di terreno attiguo che tuttora posseggo. (leggi testamento)

   Guidato dalla sola provvidenza andai cercando istruzione specialmente nelle materie legali.

   Ancora giovanetto m'introdussi nella sala del Giudicato Regio (oggi Pretura Mandamentale).

   Parecchi dei miei paesani ora vecchi come me, possono ridire quale e quanta buona fortuna io vi ebbi.

   Volevo spingermi, mi occorrevano più solide cognizioni.

   Andai in Napoli, colà mi accolsero successivamente gli studii illustri, del Sig.Vincenzo de Monti, morto com'è voce, Senatore del Regno, e del Sig. Pietro Roberti figlio dell'Avvocato Generale della Corte Suprema di Giusitizia Sig. Francescantonio Roberti.

   Sempre occupato nel foro raggiunsi la virilità.

   Nel I842 partii per la Turchia.

   Sbarcai sopra uno scalo ottomano non portandovi ricchezze od ordini cavallereschi, o titoli principeschi o decorazioni al petto, o una semplice raccomandazione.

   Non conoscevo alcuno, nessuno mi conosceva.

   Non intendevo la lingua del paese, e nel paese non s'intendeva la mia.

   Avevo per me soltanto me stesso e bastò.

   Vi dimorai venti anni, ne ebbi onori e danari.

   Onori:

   Prima del 1850 fui Console per le Città Anseatiche in Costantinopoli, alla dipendenza dell'Incaricato di affari, il tedesco Sig. Andrea Davide Mordtmann nativo di Lubecca (1)

(1) "...Non trovo questo documento. Dò la ragione, di tal fatto: Io ero convinto di lasciare le mie ossa in Levante, poiché mi era inibito dal Governo Borbonico il ritorno in patria, come da nota del Commissario di polizia di Avellino (Lotti) del 7 Novembre 1846 per lo che non tenevo a conservare documenti in luoghi dove non ero conosciuto....."

   Egli dovendo condurre un suo figlio alle scuole di Berlino mi delegò la firma con l’approvazione per me lusinghiera dei Senati (2) e dei Ministri rappresentanti le diverse potenze previa le circolari di uso.

   Mi affidò eziandio la custodia della propria famiglia.

   Se, quanto, e come ciascuno si chiamasse contento del mio interim che tenni per molti mesi, ne fanno fede gli archivii di quella Legazione Anseatica.

   Ho accennato che per la pericolosa malattia incoltami a Costantinopoli scelsi Smirne per mia dimora.

   Mi seguì dappresso la nomina di Vice Console, per le dette Città libere (3) poiché vi era già il Console, il distinto gentiluomo Sig. Carlo Federico La Fontaine: poi quella di Vice Console di Toscana, con Decreto sovrano (4) avendo per titolare il dovizioso Sig. Antonio Alliotty. (Questo Consolato per gli avvenimenti del 1860 nella madre patria, venne fuso nel Consolato Generale d'Italia)

   Da ultimo Direttore della Cancelleria del Consolato Generale di Prussia.

(2) "....Anche questo documento non trovo. vedi nota precedente...."

(3) " ....8 Aprile 1852..."

(4) ".....Firenze 13 Marzo 1857..."

Vi è un proverbio che dice: "Chi vien da lontano la può contare lunga"

   Un tale proverbio legittima al caso nostro la domanda: E' poi vero tutto questo? Risponderò due cose:

   - prima: io non scendo come altri alla viltà di riferire cose che non possono essere provate.

   - secondo: ho fornito appositamente dei nomi; ho precisato luoghi; ho citato dei documenti, ai quali potrei aggiungere il mio passaporto rilasciato dal Console Generale d'Italia a Smirne senza connotati (il valore di questa circostanza può apprendersi da chi se ne intende) e con le caratteristiche di Vice Console Anseatico, e Direttore della Cancelleria Consolare di Prussia.

   Tali documenti sono a disposizione di chicchessia. E tutto ciò al fine che l'ultimo impiegato del Ministero degli Esteri del Regno d’Italia, possa ottenere, a richiesta di chiunque il voglia, esattissime informazioni, da autorità permanenti, cioè le legazioni a Costantinopoli ed i Consolati a Smirne, tanto sopra quello che ho dedotto, quanto sulla mia vita privata nell'Impero della Nezzaluna.

D A N A R 0

   Chi pone mente alla lunga dimora da me fatta in Oriente; al lusso proverbiale di quei paesi, alla necessità di mantenermi alla pari coi miei eguali; ai gruppi in oro ed in argento da colà spediti di tempo in tempo alla mia famiglia (e fan fede i ricevi dei piroscafi delle Messaggerie francesi, che conservo, ed i registri di cotesta Società) ed alle economie che ho portate in patria, le sole che forniscono i mezzi alla sussistenza della mia attuale famigliuola. (leggi testamento)

   Chi a ciò pone mente, io diceva, può dire che un peculio di qualche entità me lo ha somministrato il suolo Islamìta.

   Ora dica chiunque se l'uomo che è nello stesso tempo un disleale, un ignorante, un senza coscienza, può sull'unico appoggio di sè medesimo pervenire a quella mediocre altezza dove io sono giunto nella scala eccezionalmente oscillante della mia vita?

INTERESSI DEL PAESE

   I successori al Sindaco fu D. Gaetano Severino, di onoranda memoria, ed i Consiglieri protempore, possono testificare, se dal 1862, io quantunque vecchio anche allora (cammino col secolo) abbia risparmiato, alcuna fatica con la penna e con la parole, nel Municipio e fuori, a bene del paese, e di conseguenza a bene pubblico.

   Non è però di questo che intendo parlare, ma di ben altro.

   Dico dunque a chi non lo sa che, in epoca anteriore 1834 (non assicuro l'esattezza di questa data nè delle altre che seguono) chi dalle prime abitazioni di Altavilla poste al sud est della strada di Avellino, avesse voluto pervenire alle ultime della strada Belvedere, al nord est, avrebbe dovuto percorrere tutto il tratto della detta strada Avellino, verso ovest che sbocca al Corso San Pietro; poi tutto questo corso; indi la strada Fontana, poi la Tiglia, 1'antica Cimitero e finalmente la Belvedere, volgendo però sempre a diritta dal punto di partenza a quello di arrivo. La linea di risulta dà quasi un poligono, con gli angoli e più lati ineguali; a completare il poligono mancava soltanto una strada dal lato est.

   Questa strada toccante con le due estremità gli indicati punti, sud-est e nord-est, avrebbe offerti molti vantaggi.

   Avrebbe:

   - 1° migliorate le località adiacenti;

   - 2° abbellita la contrada;

   - 3° aumentato il numero delle vie circostanti;

   - 4° vantaggiato il transito per la brevità;

  - 5° offerta un area estesa e salubre a futuri edifizi, per abitazioni o per botteghe a pian terreno.

Nacque in me l'idea di questa strada; a metterla in atto si affacciavano due poderose difficoltà: il prezzo dei terreni privilegiati per la di loro prossimità ai rispettivi caseggiati, e ve ne era anche della mia famiglia, e le spese per la costruzione.

   Ma volere è potere.

   Io volli. La doppia difficoltà fu sormontata.

   Ottenni gratuitamente i terreni.

  Le borse particolari mi fornirono il danaro occorrente.

   Non dimandai, e non ebbi un grano dall'Ente Comune.

   La strada fu aperta, divenne proprietà comunale.

Oggi vi sorgono di già fabbricati non pochi.

   Verso il I836 era manifesta la intenzione del Governo d'allora, di volere che una strada rotabile partendo da Avellino giungesse a Montesarchio.

   La nuova via doveva traversare o le campagne di Ospedaletto, Summonte, Sant'Angelo a Scala etc., o quelle di Capriglia, Grottolella, Altavilla etc.etc.

   Non è a dirsi se si agitassero nel proprio interesse i paesi posti sulle due linee.

(leggi petizione del Comune di Altavilla)

   Io mi trovavo in Napoli.

   Ebbi incarico dai miei conterranei di fare quel tanto che poteva, onde l'ultima linea venisse preferita alla prima.

   Mi si fornirono all'uopo notizie topografiche le più precise.

   Ben capiva non essere per gli omeri miei il pondo di così grosso affare.

   Cominciai per tanto dal compilare una Memoria circostanziata per farne valere i concetti invocai il patrocinio del Cavaliere Roggiano Marchese di Grottolella.

   E' inutile rivenire sopra quello che si disse e si fece.

   Basta sapere che oggi la strada Ferdinandea (ora Irpina) passa a tre quarti di Kilometro da questo abitato.

   Può nascere il dubbio se tanto bene si fosse ottenuto per le mie cure, per la mia cooperazione, ma non si può dubitare che feci quanto potei (la memoria lo fa supporre) a prò del paese in quella occasione.

   Il nostro Comune però restava ancora chiuso alla ruota che trascorreva senza benefizio per esso alle sue porte.

   Vivono ancora molti che si ricordano quante fatiche ebbi a sostenere, quante contrarietà a superare, per l'attuale traversa rotabile, mercè la quale il paese come tutti sanno, mutò da cattive in ottime le sue condizioni economiche.

   Fu opera mia esclusiva il nuovo tronco stradale, denominato "strada Sellitti", all’ovest del Corso San Pietro, e ne venne dotato il Comune senza che vi spendesse un centesimo, mentre a me costò due anni di laboriose trattative, continue, col proprietario del suolo fu Sig. Don Carlo Sellitti.

   Io migliorai l'antico stradone, oggi detto "Foresta”, a cui fa seguito la strada Sellitti.

   Benevento ed Avellino erano di accordo, nel 1869, di costruire un cammino rotabile interprovinciale, che mettesse i due Capoluoghi in più dirette e proficue relazioni fra loro.

   Dovevasi scegliere la linea o per il colle dei Ciardelli, o per lo stretto di Barba.

   La seconda avrebbe incontrata presso il ponte dei Santi la strada Vellola - Malvito la quale alla croce dei Vassallo immetteva nell'Irpina, e per ciò maggior utile ne sarebbe venuto ad Altavilla.

   Mi affrettai con anonima memoria a stampa di esporre alle competenti autorità di Benevento le ragioni della preferenza meritata da questa seconda linea.

   N’ebbi anche in istampa ed egualmente sotto l'anonimo, il, se non giusto nemmeno disonorevole, rimproccio che l'altavillese (così venni indicato) volesse accentrare ogni commercio nel proprio paese.

   Presentemente la Provincia Beneventana si trova di aver spese molte migliaia di £ire appunto per quella seconda linea, e dopo di aver già eseguita la prima, la strada per lo stretto di Barba è in piena costruzione.

   Nel 1866, o in quel torno, corse voce che il Governo lavorava alla restrizione dei Mandamenti.

   Quello di Altavilla non oltrepassando le sette mila anime, giustificava il timore di vederlo soppresso.

   Ogni classe di cittadini dimandava si pensasse al modo di evitare la jattura.

   Dietro richiesta scrissi una memoria che venne stampata, portante la dimostrazione che pel bene dello Stato e della Giustizia, Altavilla doveva restare Capoluogo di Mandamento anche più esteso.

   La memoria corredata di apposita pianta topografica fu spedita a chi di ragione.

   Il timore fu panico, ma si trovarono pronti i miei servigi in prò del paese.

   Per la legge del 10 Agosto 1869 la Chiesa della S.S. Annunziata in questo Comune di Altavilla, venne soppressa perchè ricettizia.

Le rendite passarono al Demanio perché dotalizie.

Il Comune svincolò tali rendite, e pagò al Demanio la prima rata del suo debito nascente dallo svincolo.

   Seguì una lite; e dopo una convenzione, per la quale il debito comunale si sarebbe pagato in quattro rate.

   Erasi per pagare l'ultima rata in circa lire 1200, quando scorsi che la Chiesa non era ricettizia e che per ciò il Demanio non aveva diritto ad incamerare le rendite.

   Nel 17 Settembre 1877 stampai una non breve memoria, che potrei dire elaborata, attesa la mia età contando allora precisamente 77 anni. Sono nell'archivio comunale più copie di tale memoria. (??)

   Essa arrestò le fulminanti esigenze del Demanio a riscuotere le 1200 lire, ed assodò il diritto del Comune per ottenere l'indebito esatto.

   Al mio ritorno dall'Estero (1862) con le attrattive di onesti divertimenti d'indole civilizzatrice concorsi a riunire tutte le civili famiglie quasi in una sola famiglia. Il mio scopo precipuo era di stabilire e cementare la concordia sola datrice del tesoro a cui aspira e dovunque l'umana convivenza: la pace.

   Alla stessa data, piacque ad uomini fatti, poi a giovani, richiedermi qualche nozione di lingua francese. Gli amatori si succedettero per molti anni, ed io tolsi dai miei necessari riposi il tempo di far loro apprendere quel tanto che io sapeva della lingua di Voltaire.

   Ora in paese vi sono parecchi (ed alcuna di sesso gentile) che intendono e si fanno intendere in quella lingua. Locchè forma un ornamento, talvolta una utilità della persona, ma quello che più conta depone della civiltà del paese.

   Restano a conoscersi le mie gesta criminose.

L'incarico di manifestarle altri se lo hanno preso. A costoro spetta edificare il pubblico con la mia fedina penale o di perquisizione che importerà la perdita dei miei diritti politici ed amministrativi.

   Sta ora in fatto che l'onta di questa minaccia invece di umiliarmi riesce all'opposto.

   Chi cerca le mie reità alla distanza di più di mille miglia fà comprendere che le ha ben cercate d'intorno a se, nel Regno, e non le ha trovate.

   Qual prova migliore della moralità di colui che in ottant'anni di vita apparisce senz'alcuno addebito nei registri penali del proprio paese?

   O’ servito la patria mia nella misura delle mie forze e dei miei mezzi. Felice, se, come io fò leggere quel poco che ho disinteressatamente fatto in omaggio del proprio paese, altri mi facciano leggere di aver fatto più di me e meglio di me a vantaggio del paese medesimo.

Altavilla Irpina. 10 Luglio l88l

Feliciano Orlando

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