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Iniziative istituzionali contro i danni cagionati dalla ricaduta delle polveri di zolfo nella campagna altavillese

(di G. Sabatino e R. Sarti)

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   E’ noto che la pioggia acida consiste nella ricaduta di particelle che vengono portate al suolo dalle precipitazioni, quasi sempre costituite dal 70% di anidride solforica la quale, reagendo con l’acqua, forma acido solforico. La deposizione secca invece avviene quando le particelle ricadono sul terreno per la forza di gravità. In entrambi i casi, gli effetti deleteri sull’agricoltura sono ben noti, specie agli agricoltori i quali conoscono - per lunga esperienza - i danni provocati dalla caduta di certe polveri inquinanti, in particolar modo quando ciò avviene nei mesi di marzo-aprile ossia nel momento in cui germogliano gli alberi da frutta oppure nel periodo di fioritura della vite, da sempre coltivata nelle nostre contrade.

   Ciò è quanto avvenuto, in passato, ad Altavilla e Tufo per la ricaduta delle polveri di zolfo che, nei periodi di più intensa attività produttiva delle miniere, provocava danni enormi alla campagna circostante tanto da indurre molte famiglie addirittura ad emigrare nelle americhe.

   A nulla valse il richiamo alle leggi dell’epoca le quali, fra l’altro, specificatamente per i fenomeni legati a questa tipologia d’inquinamento, venivano caparbiamente contestate dai proprietari delle miniere perché emanate nel 1851 e 1857 (prima della costituzione del nuovo Stato) per le sole province siciliane e non già, come essi sostenevano, da applicarsi  all’intero territorio nazionale, costituitosi dopo l’Unità. Un cavillo che tuttavia bastò, per lungo tempo, a fare la differenza !

   Moltissime fonti ci confermano l’entità del fenomeno e numerose testimonianze sono ancora riscontrabili nella stampa dell’epoca come pure in sporadici tentativi di ricorso alle superiori autorità ( Prefettura), messi in atto da qualche cittadino per la salvaguardia dei propri interessi; azioni tuttavia timide e sparute per il bisogno di non provocare inimicizie con la classe padronale delle miniere con la quale gran parte delle famiglie altavillesi, in modo diretto o indiretto, aveva rapporti lavorativi o interessi economici legati al commercio indotto: legnami, trasporti, polveri da sparo, ecc.

   Riguardo poi agli emigranti che raggiunsero le americhe, la maggior parte dei quali costituita da contadini ( 1942 unità totali, nel periodo compreso tra il 1890 ed il 1906), così scriveva il Severini :

   “….. E in verità, quando si pensi che migliaia di contadini, bestemmiando la patria, che non è buona di sfamarli, vanno a portare in lontani paesi il prodotto delle loro forti e robuste braccia, si capisce facilmente come le nostre campagne, un tempo ubertose e fertili, siano condannate a rimanere incolte ….di fronte alla pur crescente improduttività della terra…….”

   Il documento sul quale soffermiamo la nostra attenzione, affronta proprio la questione dei danni causati all’agricoltura dalle polveri di zolfo, danni che negli anni precedenti l’adozione di questa delibera risultano essere molto limitati grazie all’uso di contenitori chiusi nell’attività di fusione dello zolfo mentre, successivamente, a causa dell’utilizzo di forni funzionanti a cielo aperto, diventano a tal punto dannosi da indurre il Consiglio Comunale di Altavilla ad adottare all’unanimità il deliberato che segue. I risultati furono comunque molto marginali poiché erano gli anni della prima grande guerra e le inquietudini si spostavano da tutt'altra parte.

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CC 1915 4 dannizolfo 1MUNICIPIO DI ALTAVILLA IRPINA

Atti del Consiglio Comunale

Tornata Straordinaria

Verbale n° 4 del 1° marzo 1915

Il Cav. Uff. Beniamino Bruno, in qualità di Sindaco, assume la Presidenza e invita i Signori Consiglieri a deliberare sul seguente ordine del giorno:

1° - Vertenza Severino Gabriele - ..omissis.......

2° - Svincolo della cauzione dell’ex Esattore Perrrelli Alfredo: .... omissis ......

3° - Proposta del Sig. Severino Angelo di Giosuè di provvedimenti intesi a limitare i danni della purificazione dello zolfo ai seminati.

   Il Sig. Presidente in conformità all’ordine del giorno, invita il Consigliere Sig. Severino Angelo di Giosuè a svolgere la sua proposta sull’oggetto in epigrafe e costui, dopo di aver ringraziato il Signor Presidente, dice:

   “Signor Sindaco, Signori della Giunta, Signori Colleghi,

   L’ordine del giorno che oggi sottopongo al sereno giudizio della vostra coscienza racchiude in sè quistioni non solo d’indole economica, ma eminentemente morale.

   Ragion per cui, mi auguro, che in omaggio ai più sacrosanti diritti della umanità conculcata, e nell’interesse di queste ridenti e sventurate contrade, venga da Voi ben vagliata e se ritenuto opportuno approvata.

   Non è certo nella mia intenzione voler combattere o inceppare una industria, che io per primo, reputo proficua e importante, ma solamente renderla compatibile con un’altra che racchiude in se problemi, d’indole economica, più vitali, più complessi, più generalizzati.

   E’ necessario, in altri termini, frenare la mania speculatrice la quale pur di vedere aumentati il proprio guadagno non si fa scrupolo di annientare i sudori di tanti poveri agricoltori, i quali dopo gravi sacrifici, si vedono, per ogni anno, rapire quei frutti che pur dovrebbero essere il premio dei loro stenti e la ricompensa della loro agricola attività.

   E che sia proprio la smisurata brama dell’utile la causa dell’attuale dissesto agricolo e del conflitto, a voi noto,risulta dal fatto che quando le locali miniere di zolfo venivano dirette dal compianto Cav, Ing. Zampari, lo zolfo veniva purificato col sistema della fusione, in vasi o storte di ghisa ben chiuse e a calore emanante dalla conbustione di legna o carbone fossile, tale sistema è a tutti noto, non danneggiava la nostra agricoltura.

   Ma siccome era alquanto dispendiosa per la spesa del combustibile fu sostituito dall’attuale in cui la fusione viene praticata in forni aperti, senza carbone e con l’accensione di parte dello stesso minerale.

   Enormi colonne di gas solforosi da tale fusione si sviluppano, e funeste rugiade vanno a distruggere i nostri seminati, e con essi, i sudori di tanti miseri lavoratori della terra.

   Che importa tutto ciò all’attuale ricca azienda, quando i suoi affari prosperano, e dalla economia del combustibile e dalla produzione più abbondante, vengono triplicati i propri utili?

   Che importa ad essi il progressivo sterilire delle nostre contrade, una volta coperte di lussureggiante vegetazione, oggi ridotte ad una landa deserta?

   Che importa ancora ad essa il continuo esodo di tanti poveri contadini, i quali non trovando più adatti i nostri terreni alla soddisfazione delle loro impellenti necessità emigrano nelle lontane Americhe; mentre una volta il suolo nativo, quando cioè non era reso sterile dall’altrui poco scrupolosa speculazione, non solo era sufficiente a sfamarlo, ma mandava fuori della cerchia del nostro abitato i suoi ricercati prodotti?

   Ad essa una sola cosa preme, impinguare i propri forzieri.

   Spetta a Noi, egregi colleghi, cercare di arginare tale calamità, a Noi che per mandato di popolo dovremmo essere i tutelatori degli interessi di queste contrade.

   E poicchè non sarebbe da Altavillesi il disapprovarlo, ho fiducia che il mio ordine del giorno venga da Voi approvato tanto più che in questi momenti di crisi europea in cui la carestia e la fame sono per bussare alle nostre porte, il proteggere l’agricoltura non è solamente atto di regionale interesse ma anche altamente politico e patriottico.

   Ed ecco l’ordine del giorno che vi propongo:

   Il Consiglio comunale, in vista dei gravissimi ed incalcolabili danni arrecati all’agricoltura dai sistemi poco razionali e niente scrupolosi adoperati dall’impresa esercente le miniere solfurre,

delibera

1° Applicare giusta nota prefettizia del 17 maggio 1900 n. 10551, ma pure l’altra dell’Ingegnere capo del Distretto Minerario di Napoli, trascritta nella prefettizia urgentissima del 14 gennaio 1907 n. 660 e che ripete quanto già lo stesso Ingegnere scrisse fin dal 10 marzo 1889 n. 130, cioè: che il Regio Rescritto del 5 marzo 1851 ha vigore esclusivamente nelle province siciliane, il regolamento del 31 gennaio 1857 approvato con Reale rescritto del 5 marzo stesso anno.

2° Affidare al Sindaco ed alla Giunta tutte le mansioni emanate da detto regolamento.

3° Nomina provvisoria di una Commissione di vigilanza, con incarico di sorvegliare il buon funzionamento dei così detti calcheroni o celle e non permettere, massimamente di notte, l’apertura delle valvole di essi dalle quali si sprigionano quelle enormi folate di gas solforosi, i cui effetti deleteri per l’agricoltura paesana sono tutti dolorosamente ben noti.

4° Diffidare l’impresa interessata a non prolungare l’accensione di detti forni o calcaroni oltre la prima decade di marzo, epoca in cui la fioritura e la gemmazione dei frutteti, essendo in stato di quasi completo sviluppo, incominciano a risentirne, quando non rimanga completamente distrutta, gravissimi danni.

5° Tenuto presente le condizioni agricole locali, inibire l’accensione dei detti forni fino a tutto il 1° novembre di ogni anno, epoca assolutamente necessaria al completo sviluppo dei frutteti, tra cui primeggiano i vigneti, i nocelleti e castagneti.

6° Interessare direttamente il Ministero di Agricoltura Industria e Commercio per gli ulteriori provvedimenti.

7° Notificare, entro tre giorni, all’Impresa interessata del presente deliberato, con l’invito al pagamento delle penalità contemplate nel su menzionato regolamento del 31 gennaio 1851 e con le più ampie riserve di ulteriori risarcimenti, ragioni ed azioni.

   Dopo ciò sorge una animata discussione nel Consiglio.

   Il Signor Presidente fa osservare al proponente che la quistione nel suo complesso non è nuova e l’Amministrazione Comunale fin dal 1888 ha cercato sempre di tutelare, come meglio sapeva e poteva, gl’interessi dell’agricoltura, e ciò risulta da una non lieve corrispondenza avuta con la Regia Prefettura e con il Capo del Distretto Minerario di Napoli, trascritta nella prefettizia del 17 maggio 1900 n. 10551.

   Il proponente replica facendo osservare che tale legge non essendo stata revocata ne sostituita da altra, deve ritenersi tutt’ora in vigore per tutelare le province napoletane, poichè emanate dallo stesso legislatore, il quale, certamente, non poteva fare due pesi e due misure per gli stessi amministrati; e che se la legge va sotto il nome di “Siciliana” è semplicemente perchè quando fu emanata solamente in Sicilia esistevano miniere solfuree.

   Dello stesso parere fu il Ministro Castagnola quando nel 1873 presentò alla Camera un ritocco alla legge Mineraria del Regno, in cui riteneva opportuno che ogni singola regione rimanesse in riguardo amministrata dalle leggi preesistenti.

   Indi nessun altro avendo chiesto di parlare, il Sig. Presidente pone ai voti l’ordine del giorno proposto dal Consigliere Sig. Severino Angelo di Giosuè, spiegando che chi lo approva resti seduto e chi no si alzi.

   Restano seduti tutti i Signori Consiglieri nel numero di dieci, per cui il Sig. Presidente proclama approvato l’ordine del giorno ad unanimità di voti.

   Dopo di che avendo esaurito l’ordine del giorno la seduta viene sciolta.

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