Stampa
Categoria principale: 3.4 Fascismo
Categoria: 3.4.3 Repubblichini
Visite: 2909
Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Da : Antonio Serena “I giorni di caino” – Panda Edizione – 1990

 

 

CARLO Armando

RAPPORTO ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TREVISO.

STAZIONE DEI CARABINIERI DI VALDOBBIADENE

Valdobbiadene 17.6.1950

« ... Com'è noto, in quei giorni elementi della brigata "Mazzini" agli ordini del comandante "Mostacetti" uccisero nella zona di Valdobbiadene, Segusino e Combai, un numero imprecisato di prigionieri. La maggior parte delle vittime era stata arrestata sotto il pretesto di un nuovo interrogatorio, dopo che, consegnate le armi, erano stati lasciati in libertà.

Nella notte dal 4 al 5 maggio 1945, col pretesto di essere tradotti in un campo di concentramento, i destinati alla morte vennero divisi in tre drappelli:

- Il primo, sotto buona scorta, fu caricato sopra un camion e tradotto in località «Saccol» di Valdobbiadene.

- Il secondo, a mezzo di un camion, fu tradotto in località «Madean» di Combai.

- Il terzo gruppo fu tradotto in località «Bosco» di Segusino.

Del gruppo di «Saccol» fecero parte anche due donne e un vecchio.

In questa località i partigiani fecero fuoco con raffiche di mitra e con bombe a mano sui prigionieri, dopo averli spinti in una galleria, la quale poi fu fatta saltare con la dinamite. Il giorno dopo i cadaveri vennero rinvenuti a brandelli proiettati a lunga distanza. Lo afferma l'unico superstite sfuggito alla strage, Carlo Armando (NP della Decima) fu Giuseppe e fu Repucci Maria, nato ad Altavilla Irpina il 10-2-1925, ivi residente in via Mazzini.

Invece quei prigionieri condotti in località «Madean», legati con filo di ferro alle mani dietro la schiena, furono maltrattati, uccisi sommariamente, spogliati di ogni avere e gettati in una fossa.

Gli esecutori rientrarono a Valdobbiadene con lo stesso automezzo recando le spoglie e gli oggetti sottratti alle vittime.

Uguale la sorte toccata ai prigionieri condotti in località «Bosco» di Segusino, i quali furono seviziati e, dopo, uccisi e depredati.

Il Sindaco di Valdobbiadene Adami Riccardo, avuta notizia delle stragi, si interessò per recuperare le salme, ma i partigiani preferirono eseguire l'operazione loro stessi. Infatti nottetempo, le salme vennero trasportate, quelle di «Saccol» al cimitero di Valdobbiadene dove, dopo aver chiuso nella chiesetta il custode De Broi Bortolo, vennero sepolte in una fossa comune.

Le vittime della località «Bosco», furono sepolte nel cimitero di Segusino.

Le salme gettate nella buca di «Madean», a cui si era appiccato il fuoco dopo aver gettato liquidi infiammabili giorni dopo per distruggere il fetore, vennero in parte recuperare anni addietro.

Le esumazioni eseguite nel novembre successivo, nel cimiteri di Valdobbiadene e di Segusino, portarono al rinvenimento di 39 cadaveri dei quali 27 vennero identificati e 12 rimasero sconosciuti.

Non è stato finora possibile recuperare le salme dei due ufficiali della X^ Mas. Si tratta dei sottotenenti Rubino Ettore e De Benedictis Paolo. Il primo capo dell'autoparco ed il secondo Ufficiale d'amministrazione.

E' risultato che questi Ufficiali, ancora nei giorni del 26 e 27 aprile, avevano spontaneamente offerto la resa al capo partigiano «Mostacetti», al maresciallo della finanza Luscia Antonio e a tale Gino Dal Prà, e avevano consegnato un numero imprecisato di automezzi, materiali di rispetto, valori e tutto quanto avevano in consegna. Si precisa che il trapasso di denaro, automezzi e varie avvenne regolarmente con scambio di ricevute firmate dalle parti.

Il sottotenente De Benedictis consegnò ai predetti la somma di dieci milioni in assegni della Banca d'Italia e lire 500.000 in biglietti di Stato.

   Inoltre lo stesso ufficiale avrebbe consegnato a Dal Prà Gino la somma di lire 250.000 in contanti, ritirandone ricevuta. Tutto ciò lo afferma la signora Sestilli Pandolfina fu Rinaldo, futura suocera del De Benedictis, residente a La Spezia via Duca di Genova n° 6, (vedasi allegato n° 3).

Entrambi gli ufficiali in parola, avvenuto il regolare trapasso di quanto sopra, furono lasciati liberi ed essi ebbero modo di far vedere a persone estranee, gli inventari dei materiali e valori consegnati. Nei giorni successivi furono prelevati col pretesto di chiarimenti e furono, al pari degli altri, soppressi occultandone i cadaveri, i quali a tutt'oggi non sono stati rinvenuti.

Degli inventari di consegna, nessuna traccia.

Le responsabilità delle soppressioni compiute in massa, con crudeltà, vengono attribuite non soltanto agli esecutori materiali, ma anche, e in massima parte, ai predetti capi: «Mostacetti»; maresciallo della finanza Luscia Antonio; Dal Prà Gino; e altri. Si narra che, specialmente il Luscia e Dal Prà, avrebbero potuto fare opera mediatrice per evitare la strage. E' diffusa la persuasione che costoro, d'accordo con il Tribunale marziale, nella imminenza del passaggio dei poteri da mani partigiane ai comandi alleati, decisero l'eliminazione dei due ufficiali (oltre agli altri) per impedire che essi palesassero l'entità dei materiali e dei denari consegnati.

Il comando brigata «Mazzini», su specifica richiesta, ha fornito le copie delle sentenze marziali soltanto per 19 sui 50 uccisi.

Sentenze comunque compilate giorni dopo la strage, per ordine di un ufficiale alleato, il quale era stato messo al corrente dell'eccidio dalla popolazione terrorizzata.

E' chiaro che 31 prigionieri sono stati uccisi senza neppure identificarli. Nelle sentenze marziali si parla di condanne alla fucilazione alla schiena, ma i fatti si sono svolti mediante esecuzioni sommarie nei modi noti.

Dette sentenze di condanna sono firmate da:

I°) PRESIDENTE «Mostacetti», nome partigiano di Rossetto Beniamino.

2°) PUBBLICO ACCUSATORE «Bianchi», nome partigiano di Dal Pont Eliseo Vittore.

3°) GIUDICE GARIBALDINO: «Bepi» nome partigiano di Tonon Bruno.

4°) GIUDICE GARIBALDINO: «Tarzan», nome partigiano di De Conti Arturo.

5°) PUBBLICO DIFENSORE: «Romo», nome partigiano di Moro Egildo.

6°) GIUDICE GARIBALDINO: «Nevio», nome partigiano di Piccolotto Enrico.

7°) GIUDICE GARIBALDINO «Monello», nome partigiano di Bet Domenico.

(Il rapporto del maresciallo Sotgiù fa anche i nomi di persone che un'ulteriore indagine avrebbe potuto indicare quali responsabili materiali degli eccidi).

Detto verbale conclude:

« ... L'odio e il lucro si sostituirono alla legalità. Per questo la gente onesta commenta tutt'ora con dolore profondo i fatti gravi e auspica inflessibile giustizia.

Pertanto una istruttoria eseguita dal Magistrato nella sede staccata della Pretura di Valdobbiadene, tornerebbe utile alla giustizia e sarebbe ben accolta con senso di sollievo da tutta la cittadinanza».LOGOridotto

                                                                                              F.to M.Ilo: Sotgiu Giuseppe