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Categoria: 13.3 Atti di convegni

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“ Miscellanea storica altavillese”

( di Padre Giovanni Mongelli )

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   Il breve saggio che segue costituisce l’intervento che Padre Giovanni Mongelli, monaco benedettino, studioso e autore della Storia civile di Altavilla Irpina dalle origini ai nostri giorni, lesse nel giugno del 1985, presso la sala convegni della Biblioteca Caruso, alla presenza di un attento uditorio, in occasione della presentazione del volume Miscellanea storica altavillese, edita dal Centro Studi Enrico Mattei di Altavilla.

    Si tratta di un prezioso documento dattiloscritto, a suo tempo recuperato e conservato presso la nostra Biblioteca, nel quale lo studioso e storico benedettino passa in rassegna le fonti e le testimonianze, spesso errate, a volte male interpretate, utilizzate da molti che hanno scritto intorno alla storia di Altavilla. Il testo, il quale però contiene anche numerosi apprezzamenti per le ricerche storiche condotte da uno studioso di rango, quale il Dott. Angelo Caruso, spesso si connota di richiami particolarmente tecnici, rivolti soprattutto agli addetti ai lavori, pur tuttavia ha il pregio di presentarci una narrazione che a volte non manca di avvincere e accompagnare anche il semplice lettore.

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Biblioteca Caruso, sala convegni, giugno 1985.

   Ho accolto volentieri il gentile e onorifico invito, rivoltomi dai degni rappresentanti del "Centro Studi e Ricerche "E.Mattei", di presentare al pubblico di Altavilla Irpina il volume MISCELLANEA STORICA ALTAVILLESE, curata dello stesso Centro nella dignitosa veste tipografica, data al volume, dalla Tipografia Laurenziana di Napoli: e qui, prima di passare alla stessa presentazione del volume, mi piace esporre brevemente i miei particolari motivi personali che mi hanno spinto ad accogliere tale invito.

   Innanzi tutto mi si presentano i ricordi della mia prima fanciullezza, quando con una certa frequenza venivo ad Altavilla dal mio paese nativo,Tufo, specialmente in occasione della festa di S. Pellegrino.

   A confronto del mio paese, Altavilla mi sembrava una città. Mi faceva grandissima impressione il Corso, lungo e largo, con le fastose illuminazioni della festa.

   Quando poi ho abbracciato la vita monastica a Montevergine, nel corso dei miei studi ho avuto non poche occasioni di occuparmi di cose riguardanti Altavilla in quanto gli interessi di Montevergine si volgevano con una certa frequenza al territorio altavillese. Di qui i segni lasciati nei documenti dell'archivio di Montevergine, dove non sono poche le pergamene e le altre carte riguardanti il paese. (1)

Ecco perché, trattando diffusamente della storia di Montevergine e della congregazione verginiana, ho avuto occasione molte volte di menzionare Altavilla nella trattazione dell'aspetto economico, nelle sue molteplici angolazioni.

   Ma vi è di più. Montevergine, almeno dal Quattrocento, ha avuto una sua Casa religiosa in paese: dapprima fuori le antiche mura e la porta del paese, verso mezzogiorno, dove sorse la cappella di S. Cosma, grancìa che venne poi designata col nome di

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(1) Cf. Giovanni MONGELLI, Abbazia di Montevergine, Regesto delle permgemene, 7 voll. Roma 1956-1962. Per i singoli riferimenti, cf. vol.VII, pp.18-19. Cf. pure: Giovanni MONGELLI, Storia di Montevergine e della Congregazione verginiana, Avellino, 8 volumi,1965-1978, passim.

Altri legami tra Montevergine e Altavilla - e questa volta per benemerenze verso Montevergine da parte di feudatari di Altavilla - li segnalavo nella Presentazione di un volumetto del Generale Simone CIAMPA, La Chiesa di Maria SS.ma di Loreto di Altavilla Irpina nella storia civile e religiosa del paese, Altavilla Irpina 1975, con queste parole: "A Montevergine poi è ancora oggetto di incondizionata ammirazione, nella cappella del Santissimo, l'artistica custodia, della fine del quattrocento, dovuta al feudatario di Altavilla, Luigi III de Capua (+1497),   come si legge sullo stesso prezioso marmo .

E come ricordare l'altro grande feudatario di Altavilla, Bartolomeo I de Capua, il Gran Conte, vera celebrità tra i giuristi del suo tempo, al quale la congregazione verginiana deve tre importantissimi suoi monasteri, rispettivamente in Napoli, in Capua e in Aversa. Ricordiamo pure che dal 1705 al 1717 l'abate decano di Montevergine ebbe il titolo di S.Pietro di Altavilla (p.7).

 

San Pietro vecchio (2); e poi con l'erezione di un nuovo monastero nella contrada Foresta, allora fuori dell'abitato. I1 Severini fa un bell'elogio dei Verginiani per questa giudiziosa scelta del nuovo sito, quando vi contrappone l'errore fatto dai suoi compaesani nella costruzione della Chiesa Madre, scrivendo: "...avrebbero potuto, i nostri nonni, almeno in questo, imitare la sagacia dei Verginiani, che per la loro grancìa scelsero il miglior sito del paese" (3).

   Non m'indugerò qui col parlare più a lungo di questo monastero verginiano, avendone già trattato espressamente e diffusamente in un'apposita monografia (4).

   Ma forse ancora più interessante può tornare il sapere quali e quanti religiosi di Montevergine siano stati nativi di Altavilla. Ebbene, nonostante che per il periodo fino al 1566 manchino del tutto i registri indispensabili a questo scopo, e si son potuti raccogliere solo quei nomi che risultano dalla menzione occasionale nelle pergamene, ne ho potuto enumerare ben

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 (2) Il primo documento giunto fino a noi è del 21 luglio 1480 (Reg. 4259). Su questi monasteri verginiani in Altavilla, cf Giovanni MONGELLI, I1 monastero verginiano di Altavilla Irpina, in "Economia Irpina” a. 1975, n.I ; cf. pure: L'Archivio storico dell'abbazia benedettina di Montevergine. Inventario, vol.2°. Gli archivi dei monasteri verginiani, Roma 1974, pp.23-27.

(3) Michele SEVERINI, Altavilla Irpina. Monografia storica, Avellino 1907 ( 2.a edizione 1978) p.93 (Nella citazione del Severini ci riferiremo sempre all'edizione del 1907).

(4) G. MONGELLI, Il monastero verginiano di Altavilla Irpina, cit., dove nelle prime pagine parliamo del primo monastero e grancìa, di S.Pietro vecchio, e poi passiamo alla fondazione e alla storia del S.Pietro nuovo.

 

 23, tra cui un abate generale nella persona di Alberico Mellusi (5), che fu superiore generale della congregazione verginiana dal 20 aprile 1766 al 16 aprile 1769. Nel Necrologio Verginiano (f. 66) se ne fa questo lusinghiero elogio: "1l medesimo è stato esemplarissimo nel costume, ed umilissimo in tutte le sue azioni, com'anche rigoroso osservante della nostra Regola”.

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(5) Facciamo notare che fino al 1566 mancano a Montevergine registri riguardanti i religiosi verginiani. Perciò si possono raccogliere i nomi dei religiosi solo dalla occasionale menzione che dell'uno o dell’altro si fa nei vari documenti. Invece dal 1567 in poi cominciano i registri, ma anche allora i nomi bisogna pazientemente raccoglierli, cosa che abbiamo fatto in una serie di volumi manoscritti : I monaci della congregazione verginianala, a cura di Giovanni MONGELLI, parte I, A: 1118- 1566, Montevergine 1967; Parte II, Vol.I : I coristi (dal 1567 in poi), in 3 tomi; vol. II: I Conversi (dal 1567 in poi), in due tomi, Montevergine 1975. Per quel che si riferisce in particolare ad Alberico Mellusi, cf. MONGELLI G., Storia di Montevergine cit., vol.V (Avellino 1971), pp. 242-250; Idem, Profilo storico di Montevergine dalle origini ai nostri giorni, Montevergine, 1976, p. 154.   I 23 nomi accennati di verginiani nativi di Altavilla sono: per il primo periodo fino al 1566: 1° un Agostino da Altavilla, che troviamo nel 1515 (Regg.4629. 4630) (Con la sigla Reg. Regg. ci riferiamo all’ opera già citata, Abbazia di Mentevergine, Regesto delle pergamene, riferendo il numero progressivo dei singoli Regesti); 2° Bartolomeo Vassallo priore in Altavilla; 3° Domenico da Altavilla, presente nel 1515 (Reg.4610); 4° Giovanni, priore di Teano nel 1515 ( Reg. 4629 ); 5° Nicola monaco ; 6° Tommaso priore di Troia, morto nel 1520; 7° Valerio Vassallo, priore di Montefusco nel 1515 sg (Reg. 4629.4630). Per il periodo successivo, dal 1567 in poi segnaliamo i seguenti coristi : 1 Severino (Fabio) Caruso (+dopo il 1654); 2° Vittorio (Antonio) Crescitelli che fa la professione sul letto di morte nel 1696; 3° Alberico (Giuseppe) Mellusi abbate generale (morto 1'11 giugno 1775); 4° Filippo Vassaillo (+dopo il 1601); 5° Valerio Vassallo (+ 1573); 6° Angelo da Altavilla (+ dopo ii 1601); 7° Giovanni da Altavilla (+ dopo il 1602) ; 8° Marzio da Altavilla (+ dopo il 1597). Per i fratelli conversi di questo stesso periodo dal 1567 in poi conosciamo i nomi seguenti: 1° Anselmo (+ dep. il 1586); 2° Berardino (+dopo i 1696); 3° Berardino (Angelo Saverio) Caruso (menzionato nel 1759-63); 4° Giovanni Berardino D'Avella (presente nel 1694-98); 5° Berardino De Nunzio (+ dopo il 1755); 6° Giuseppe (presente nel 1698); 7° Giuseppe Luciano (+ dopo il 1791); 8° Matteo (presente nel 1588).

  

   Questi rapidi accenni, se non proprio giustificano, rendono per lo meno comprensibile la mia presenza in questo momento ad Altavilla.

   Il volume che presentiamo reca il titolo “Miscellanea storica altavillese” ed è il 2° volume, pubblicato a cura del Centro Studi e Ricerche E. Mattei. Il 1° volume, infatti, pubblicato a cura di questo Centro Studi e Ricerche è la ben nota Monografia storica su Altavilla Irpina, pubblicata dal Dott. Michele Severini nel 1907, un lavoro che quando uscì suscitò discussioni e polemiche che si protrassero parecchi anni per poi assopirsi per una valutazione più serena dell’opera. Alcuni degli studi, ora ripubblicati nella presente Miscellanea storica altavillese, rispecchiano appunto le polemiche allora in atto. Noi, pur dovendo prendere atteggiamento critico per non pochi punti di quella Monografia del Severini, non possiamo però negargli il merito di aver tracciato un profilo di tutto l’arco della storia altavillese fino all’inizio di questo secolo. Naturalmente, per una sintesi veramente valida, si sarebbe richiesta una previa trattazione analitica dei singoli punti ai quali ci si riferiva, corroborati da validi documenti: cosa che, invece, è mancata nel Severini (come del resto manca negli studi dei suoi oppositori immediati dei primi anni del secolo), e perciò per quel che si riferisce alla storia di Altavilla fino alla fine della feudalità ci si è basati sulle asserzioni degli scrittori del Seicento e Settecento, da prendere sempre col beneficio dell'inventario (6).

   Comunque, questo 2° volume del Centro Studi e Ricerche ci fa vedere che agli studiosi dei primissimi decenni di questo nostro secolo stava a cuore 1'affermare, più che il dimostrare in maniera veramente scientifica, l'antichità di Altavilla e l'iter percorso dal toponimo prima di giungere alla denominazione poi impostasi incondizionatamente.

   Come, perciò, per la Monografia del Severini cosi per il presente volume di Miscellenea, si tratta di studi editi, che ora vengono ripresentati per rispondere alle esigenze degli studiosi.

   Si tratta di alcuni studi sull'origine del paese e di uno studio particolare sul Palazzo comitale. Quest'ultimo è del Dott. Carlo Antonio Giordano, che merita un’attenta considerazione da parte di co1oro che vogliono approfondire le loro conoscenze su questo insigne Palazzo, che richiede tutte le cure per la debita conservazione come uno dei documenti più insigni del paese.

   Ma noi vogliamo fermarci qui, con maggiore attenzione e con più diffuse osservazioni, sugli altri studi pubblicati nella MISCETTAHEA. Si tratta di tre studi del menzionato Dott. Carlo Antonio Giordano e uno di Angelo Caruso, ai quali si aggiunge una semplice nota di Antonio Iamalio.

 

 

(6) Scrive giustamente il Caruso : " Ignorando (il Severini e il Giordano) che il Mazzella, come la maggior parte degli storici del suo tempo, è autore sospetto “ (in Miscellanea, p.76).

  

Quanto al tempo della pubblicazione di questi lavori, si va dal 1910 al 1954. Ma procediamo con ordine.

   I lavori del Dott. Carlo Antonio Giordano furono dettati dalle polemiche suscitate dalla Monografia del Severini. Ci si presenta per primo lo studio Sulle prime origini di Altavilla Irpina, in cui i1 Dott.Giordano ci fa osservare che le indagini storiche sul paese iniziarono negli ultimi decenni del Settecerto col Dottor Francesco Crescitelli, morto ai primi dell’Ottocento.

   Secondo costui Altavilla fu fondata dagli antichi Sanniti molto prima delle guerre sannitiche, le quali, come si sa, cominciarono il 343 a.C.. Furono i Sanniti - sempre secondo il Crescitelli - a dare il nome di Altacauda. Contro tale posizione di quanti avevano asserito l'esistenza di una antichissima Altacauda, giustamente Carlo Antonio Giordano controbatte che “… è passato per istoria ciò che storia non è..” ( Miscellanea pg. 13) . E questi può concludere . “… è tutt’altro che provato come, ai tempi degli antichi Sanniti, fosse esistita Altacauda o che l’Altacoda dei Longobardi fosse sorta sulle rovine di Petilia..” ( p. 37).

   Il Giordnno si riconosce che egli non è "uno storico di professione" e che egli ha “…seguito puramente e semplicemente il pensiero suggeritomi da un obbiettivo ragionamento scevro da ogni altra preoccupazione..,.” ( p. 14). Non è contrario alla successione Altacoda-Altavilla, ma la vuole ben fondata su documenti, scrivendo : “…. Ora, a noi pare che chi abbia voglia di intraprendere, sul serio, uno studio storico sulle prime origini di Altavilla Irpina, o meglio, dell’Altacoda dei Longobardi, non si possa allontanare dalle basi conosciute, e dovrebbe cominciare dall’esame minuto di tutte le antichità e dei ruderi che furono rinvenuti, o potrebbero rinvenirsi dalle falde del Terminio fino a Terranova, non escluso Montefusco e dintorni chiamando in ausilio la filologia, la mitologia, l’archeologia, la numismatica, la geologia, l’antropologia e tutte le altre scienze capaci di apportare un raggio di luce in così pesto buio..” (p. 40).

   Tenendo presente tutto questo egli può scrivere - e questo nel 1912 - che “… la storia locale di Altavilla, così come è stata scritta, è tutt’altro che storia e che, pel decoro del paese, va modificata e corretta ab imis…(totalmente) ” (p.51, nota 1). Fino allora, infatti, si era scritto basandosi o su congetture o sulle asserzioni degli scrittori dei tempi precedenti. Quanto alle congetture, egli giustamente osserva : “…Però la storia si versa sopra i fatti, ai quali bisognerà attenersi nelle osservazioni e nelle correzioni. Se al contrario si vogliono contrapporre congetture a congetture, sarebbe meglio non parlarne…” ( p.51).

   Quanto agli scrittori precedenti, egli si oppone a molte asserzioni del Severini, considerando, in questo, la Monografia Storica “…un vero mosaico di copie conformi, donde l’impossibilità di risparmiare gli autori originali, quali il Iannacchini, Il Bellabona, il Gazzella, il Ciarlanti, l’Amorosa, il Meomartini e tanti altri, nonché i nostri concittadini Dottor Francesco Crescitelli ed il fu mio padre Dott. Carlo…” ( p.52).

   Questi i sani principi del Dott. Carlo Antonio Giordano. Quanto ai suoi articoli è ben altra cosa. Così tutto il primo studio, intitolato Irpi, Irpini, Altacauda attraverso la storia” e cioè “ Sulle prime origini di Altavilla Irpina” non è altro che una congettura da lui avanzata intorno all’origine degli Irpini, congettura che oggi può lasciare indifferente lo storiografo di Altavilla Irpina e che comunque va impostata non per via di asserzioni, anche di esimi scrittori, ma per via di validi argomenti storici. Così, che siano stati gli Equi o i Sabini i primi abitatori dell’Irpinia, deve interessare lo storico della regione irpina, ma non può prendere la mano di chi si occupa di un paese sorto eventualmente dopo un millennio dalla scomparsa degli uni e degli altri.

   Tutto ciò lo releghiamo nella preistoria dei nostri paesi. Invece, per quel che si riferisce alla protostoria di Altavilla, il geometra Carlo Aristide Rossi di Avellino, riassumeva in questi termini l’origine di Altavilla ( che terminava nel 1946 un suo lavoro su tutti i comuni della provincia di Avellino) : “…Nel 1134 Ruggiero il Normanno, dopo aver distrutta la cittadina allora detta Petilia, e la vicina Prata, però la riedificò ben presto col nome di Scandiano, poi Altacoda….Nel 1149 era di Tancredi di Altavilla, il quale da Petilia, Scandiano ecc. la chiamò Altavilla…” (7).

   Dopo aver riferito questo brano, Angelo Caruso giustamente postilla : “..riteniamo inutile far rilevare gli errori contenuti nei pochi righi, le invenzioni e il semplicismo del racconto…” (p.77).

   Eliminate le mai esistite Petilia e Scandiano nella località oggi occupata da Altavilla, ci si presenta la questione veramente storica di Altacauda.

   Per i toponimi non si può partire da una questione filologica, condotta in maniera astratta, per farne derivare da essa delle conseguenze storiche non corroborate da documenti. Si passerebbe inconsapevolmente dalla storia al romanzo, ma allora ricadremmo in quella condanna, così stigmatizzata da Franco Grassi : “..Lo scrivere dei romanzieri, dei poeti non è un creare la vita, è solo un’illusione di vita, è spesso un essere folli, un fare di sé il centro del mondo, è un delirio che dà, appunto, l’illusione di essere un creatore e perciò padrone, un giudice inappellabile (8).

 

 

7) Carlo Aristide Rossi, Provincia di Avellino, Monografia dei 128 Comuni della Provincia, terminato nel 1946. Ms. conservato nella Biblioteca Provinciale di Avellino.

8) Franco, Grassi, La follia senza elogio, in “ Il Mattino” del 27 nov. 1977, articolo di fondo. 

  Mi sia permesso qui di riferire qualche esempio di storia verginiana per rendere più evidenti i pericoli di un siffatto procedere per etimologie a fiuto di naso.

   Se noi ascoltiamo quanti hanno scritto sul palazzo abbaziale di Loreto di Montevergine e ne hanno voluto presentare l’etimologia, hanno seguito i seicentisti.

   L’Abate Jacuzio così scriveva nel 1777, ricalcando le orme dell’abate Gian Giacomo Giordano: “… Loreto, ove già credesi, che fosse stato nella stagione Paganica un tempio d’Apollo, a cui per gli alberi iv’intorno di lauri, consacrati a quel Nume, il nome pur di Laureto e Loreto si dasse (9). E ancora più chiaramente leggiamo nella guida del santuario, pubblicata nel 1905 : “…Si chiamò Loreto perché costruito sul sito, dove nell’età pagana fioriva un bosco di lauro, sacro ad Apollo…” (10).

   Come si vede, si spiegava il nome di Loreto, dato ad un’infermeria, costruita negli ultimi decenni del secolo XII, non per il fatto che si era dimostrato la preesistenza di un tempio di Apollo e di un bosco di alloro, ma dal semplice nome, come veniva pronunziato nel Seicento-Settecento, se ne faceva derivare un tempio pagano con tutto il resto.

   Ed invece dalla ricerca documentaria ne è venuto fuori che il nome primitivo era URRITA ( e Orrito), nome del proprietario del fondo in cui sorgeva quell’antico fabbricato.

 

 

9) Matteo, Jacuzio, Brevilogio della cronica ed istoria dell’insigne santuario reale di Montevergine, capo della regia congregazione benedettina dé Verginiani, Napoli 1777, p.105. E l’Avv. Giovanni Zigarelli, scriveva nel 1860 : “…ritiene lo stesso nome di Loreto, dall’altro edificato sul tempio che i gentili consacrarono ad Apollo, il quale perché avea la fronte ricinta di alloro, fece che il luogo si chiamasse Laureto, poi Loreto ( G. Zigarelli, Viaggio storico-artistico al reale Santuario di Montevergine, 2a edi8z, Napoli 1860, p.11. Su quest’argomento, cf. Giovanni Mongelli, Loreto di Montevergine, Ricerche storiche, da documenti inediti, Avellino 1967; idem, Il Palazzo abbaziale di Loreto di Montevergine, Montevergine 1969.

10) I PP.Benedettini di Montevergine, Montevergine, Guida - Cenni storici, Roma, 1905, p.81.

  

Di lì si è passato, per le solite trasformazioni fonetiche, a Rito, Urrito, Orrito, lo Reto e finalmente Loreto, pur continuando nel popolo ad essere vive le voci di o Rito, Urrito e Orrito (11).

   Un caso analogo lo abbiamo per il nome stesso di Montevergine.

   Proprio in base ai documenti di archivio abbiamo dovuto rifiutare l’interpretazione culturale che si era comunemente data o in riferimento a un supposto – e mai provato – tempio della Madre degli Dei, Cibele, o in riferimento al tempio eretto alla Madre di Dio, Maria Vergine, fattovi erigere da S. Guglielmo verso il 1124. Il nome infatti che figura già dal 774 è Mons Virgo. Di qui la necessità di staccare il nome di monte “vergine” da ogni relazione culturale sia pagana che cristiana, ripiegandoci su un significato letterario di monte “ integro, intatto”, quindi mai tocco da uomo, proprio nel senso come oggi usiamo abitualmente l’espressione di foresta “ vergine” (12).

   Altro pericolo nelle questioni storiche è costituito dalla falsa interpretazione dei documenti, a volte proveniente da errata lettura, a volte invece da errata topografia in cui si vogliono applicare i nomi.

   Ad errore di falsa lettura potrebbe attribuirsi l’asserzione dell’esistenza di un paese Scandiano al posto dell’attuale Altavilla. Perciò giustamente il Dott. Caruso liquida sbrigativamente la cosa dicendo “…Invece si tratta di pura invenzione perché un centro abitato nominato Scandiano non è mai esistito, né durante la dominazione normanna, né prima, né dopo, nelle pertinenze di Avellino…” (p.76).   A conferma di ciò viene citato l’Archivio di Montevergine, dove, nonostante i non pochi documenti che si riferiscono ad Altavilla, non figura mai quel nome di Scandiano, cosa che è risultata ancora più evidente in seguito

 

 

11) Cf.MONGELLI, Il palazzo abbaziale cit., p.13 sg.; Idem, Loreto cit., p.3. Del resto per Loreto di Ancona si è tutt’altro che unanimi nella derivazione del nome. Cf. G. AMADIO, Loreto, saggio di toponomastica con alcune conclusioni relative alla questione Lauretana, Ascoli Piceno 1942; C.CECCHELL1, Mater Christi, vol.II, Roma, 1948, pp.273 sg. Sopravvenuta a Montevergine 1’interpretazione pseudo-filologica di Loreto da Lauretum, non ci meravigliamo che quando, dal 1735 al 1750, fu ricostruito l'attuale palazzo abbaziale, nella cappella monastica fosse fatto dipingere da Paolo De Maio un quadro rappresentante la traslazione della S.Casa di Loreto secondo la tradizione popolare. Anche su questo, cf. la recente pubblicazione: Giuseppe SANTARELLI, La traslazione della Santa Casa di Loreto. Tradizione e ipotesi, Loreto 1984.

12) Cf. G. MONGELLI, Storia di Montevergine cit.,vol. I, pp.44-45.

 

alla pubblicazione del mio Regesto delle pergamene (13).

   Né c’è da meravigliarsi di queste errate letture di documenti. E qui mi piace citare qualche esempio molto istruttivo della storia di Montevergine.

   A leggere gli scrittori verginiani ( non mi sento di chiamarli storici), a cominciare da Ovidio de Luciis, che scriveva nel 1619, a S. Guglielmo fu donato un casale presso Sarno, chiamato Gioiello, dove il santo costruì subito un monastero. Ecco le precise parole del De Luciis : “… Et fra gli altri, nell’anno 1122 che continuava la fabbrica….. vi giunse anche Henrico, conte della città di Sarno, et vedendo la necessità della fabbrica et che il santo et soi monaci nohavevano entrata di fermo, gli fé donazione d’un molino in Sarno ove si dice la Foce et d’un casale detto Gioiello con queste parole….” (14).

   Dietro il De Luciis, tutti i successivi scrittori di cose verginiane, come Gian Giacomo Giordano, il De Masellis, il Mastrullo, lo Zigarelli, ecc. ecc.. Il Giordano così scriveva nel 1649 : “…. Nel medesimo Archivio di Monte Vergine hò ritrovato che nell’anno seguente 1135 Henrico Conte di Sarno mosso ancora egli dalla fama della gran santità del Beato Guglielmo, li venne gran desiderio, che in quella sua città s’introdusse la sua nuova religione, per il che donò a Monte Vergine un mulino nelle pertinentie di detta città in un luogo chiamato comunemente la Foce, e un casale, o villa chiamato Gioiello, e gli ne fece scrittura pubblica, e autentica, nella quale si leggono queste parole frà l’altre “ Ego Henricus Comes Sarni dono Ecclesiae, quae est in Monte Virginia in loco cui cognomen est Aqua columbarum unum Molendinum in loco ubi dicitur la Foce, quo in ordine aliorum Molendinorum est primum e Pagum nomine Gioiellum cum suis hominibus, iuribus e redditibus ….” ( 15).

   A leggere il Giordano, come gli altri scrittori, sembrerebbe tutto liscio e ben fondato quanto essi asseriscono sul casale di Gioiello, tanto più che essi riportano le parole del documento

 

 

13) Lo stesso esito negativo hanno dato altre consultazioni come quella del Codice Diplomatico Verginiano (Montevergine 1977 sg.), del Codex Diplomaticus Cavensis (Milano 1873-1893), dei Documenti per la storia dei Comuni dell'Irpinia, di Francesco Scandone (Avellino 1956-1964), dell' Essai historique sur l’abbaye de Cava, di Paul Guillaume (Cava dei Tirreni 1877). Perciò già Carlo Antonio Giordano poteva scrivere nel 1910: "Non mancano perfino altri, i quali sostengono che Altacauda sia sorta sulle rovine dell’antica Petilia; ma questa opinione è, addirittura, il risultato di poca cultura nelle ricerche storiche" (in Miscellanea, p.36).

14) Ovidio De Leuciis, Supplemento alla istoria di Monte Vergine. Ms dell’abbazia di Montevergine, f. 7.

15) G.G. Giordano, Croniche di Monte Vergine, Napoli 1649, p. 459.

 

 

dell’archivio di Montevergine. Ed invece la cattiva lettura e la rimanipolazione volontaria di questo - come di tanti altri documenti - ha travisato completamente la verità storica.

   Infatti, quando noi siamo andati a ricontrollare la citazione del De Luciis e dell’abate Giordano con nostra sorpresa abbiamo trovato scritto : “… Offero ….et in perpetuum habere concedo molendinum unum in loco Fuce….In super do et inrevocabiliter concedo Petrum cognomine Grallum cum suis heredibus et omnibus que possidet….” (Perg. 211). E cioè : “….Offro…e concedo che ( il Monastero di Montevergine) abbia in perpetuo un mulino nel luogo Foce…Inoltre dono e irrevocabilmente concedo Pietro di cognome Grallo coi suoi eredi e con tutto quello che egli possiede…”. Come si vede, mentre nel testo originale si parla della donazione di un vassallo di nome Pietro Grallo coi suoi eredi e i suoi beni, invece di “ Petrum” si è detto “ Pagum” e invece di “Grallum” si è detto “Gioiellum”. E poi per armonizzare il resto alla errata lettura, si è detto “hominibus” invece di “ heredibus” ! E così nacque la leggenda della donazione di questo casale.

   Quanta presa abbia fatto questa leggenda anche negli scrittori di Sarno, ecco due testi molto significativi. Nel 1946 così scriveva Silvio Rocco : “… il conte Errico, succeduto al padre Riccardo, ritornato nel possesso di Sarno, dona pietosamente al Monastero di Montevergine un molino e un pago, detto per il suo alto valore Gioiello…” (16).

   Il secondo scrittore sarnese, il Canonico Carmine di Domenico, è ancora più significativo per dimostrare la leggerezza con cui si scrive da tanti in materia storica. Nonostante che io stesso gli avessi inviato il testo integrale della pergamena, trascritto dall’originale, con aggiunta versione italiana ( pubblicati poi l’uno e l’altra integralmente alla fine del volumetto), continua a citare un autore dell’Ottocento, riferendo (17) : “…All’uopo il conte gli donò ( a San Guglielmo), presso le sorgenti della Foce, un pago o predio…cum hominibus et possessionibus, di qua dalla porta ben munita, nella contrada detta Foce di Sarno, ossia un’abitazione con una vasta tenuta detta Gioiello per la fecondità delle terre circostanti, per la bellezza del luogo e per le vicine sorgenti…” (18).

 

 

16) Silvio RUOCCO, Storia di Sarno e dintorni, vol.I, Sarno 1946, p.160.

17) Cioè : P. Nocera, La devozione dei sarnesi verso la Gran Madre di Dio, Sarno, edizione della Tip. Dell’Ippogrifo, 1879.

18) Can. Carmine Di Domenico, Un santuario millenario Santa Maria della Foce in Sarno, Sarno 1971, p. 28.

  

 

Ecco che cosa è diventato il fortunato vassallo Pietro Grallo ! (19).

   Più sopra abbiamo accennato all’altro pericolo che incombe nella lettura dei documenti, ed è quello di attribuire ad un luogo un nome che vale invece per una diversa regione. Di qui è provenuta l’ipotesi che Altavilla sia sorta sulle rovine di Petilia. Siccome di quest’abbaglio aveva già scritto sufficientemente Carlo Antonio Giordano nel suo studio Irpi – Irpini…., Angelo Caruso non crede opportuno indugiare su tale errata opinione.

   Da quel che risulta finora, è frutto di invenzione, che deve essere sepolto una volta per sempre, l’asserire la preesistenza di una Petilia o di uno Scandiano al posto in cui sorse Altacauda, divenuta poi Altavilla.

   Ma sulla stessa Altacauda, gli studi presentati nella Miscellanea fanno piena luce.

   Il Severini aveva asserito : “…L’origine di Altavilla è certamente antichissima…” e con quell’aggettivo al grado superlativo egli intendeva proiettarne l’origine ben oltre il Medioevo fino a risalire all’età sannitica. Giustamente il Dott. Carlo Antonio Giordano poteva controbattere : “… Niun documento storico conferma l’esistenza di una Altacauda antiquissima…”.

   Per le ulteriori determinazioni ha dato un apporto sostanziale alla questione delle origini di Altavilla Irpina il Dott. Angelo Caruso con l’articolo “ Altacausa normanna e l’odierna Altavilla Irpina. Ricerche e documenti “ ( in “Samnium”, A. 1954).

   Il Caruso ha il merito di controllare i documenti e di riportare quelli che fanno veramente al caso sulle origini del paese. Egli innanzi tutto fa vedere che falsamente il Dott. Carlo Antonio Giordano aveva ripetutamente affermato che il nome di Altacauda figurasse già in un documento dell’849. Il Giordano, infatti, già in Irpi-Irpini…aveva scritto :”… ora aggiungiamo che il suo primo comparire nella storia avvenne al tempodei Longobardi, cioè

 

 

19) Fra i moltissimi esempi che potrei ricavare dalla storia di Montevergine, dovuti a errata lettura di documenti, mi piace segnalare questo : Nella prima biografia di S. Guglielmo la data di morte del santo è indicata con l’espressione “ septimo die astante mense iunie”. Vincenzo Verace, prima nella sua opera manoscritta ( Cronica cong. Et mon. Montis Virginia. Ms del 1576, in Bibl. Vat. Cod. Chigi R II 42, f. 42 v : “… Septimo die mensis Junii) e poi nella sua edizione in italiano dice che quella morte “ …fu a’ sette di Giugno ..” (p.66). Il Giordano, nella sua famigerata “ Vita di San Guglielmo”, in cui pubblica il testo integrale della Prima Biografia, sfacciatamente cambia la frase in “ Octave Kalendas julii “, per riportare la data al 25 giugno, secondo la immemorabile data della festa di S. Guglielmo. Ed invece il testo originale si oppone a tutte queste false letture e interpretazioni, perché l’espressione “ Septimo die astante mense iunio” significa : 24 giugno.

 

 

verso l’anno 849 dell’era cristiana, allorché, conclusa la pace fra Radelchiso I° ( Radelgiso) e Scionulfo (Siconolfo) ed avvenuta la divisione del Principato di Salerno da quello di Benevento, si arriva a conoscere che una Alzacunda, Altacauda o Altacoda appartenne a questo ultimo….” ( p.34).

   Vi ritorna sopra nell’altro studio “ Di un migliore indirizzo …..” del 1912, dove scrive : “….Nel mio opuscolo più volte ricordato dicevo, adunque, che il primo comparire di Altacoda nella storia, ed il suo nome fu Alzaconda ( Alessandro Telesino) trasformato poscia in Altacunda, Alta-coda, Alza-coda ed Altacauda, come la chiama Falcone Beneventano…” (in Miscellanea, p. 55).

   Ma il Caruso fa osservare che in quel patto tra Radelchisio I° e Siconulfo non si fa parola di Altacauda ( in qualunque modo venisse deformato quel nome). Ed invece la prima comparsa del nome di Altacauda è nel Chronicon di Falcone Beneventano e in quello quasi contemporaneo di Alessandro abate Telesino ( Libri IV de rebus gestis Rogeriis Siciliane Regis ). Quanto al nome risulta evidente che Falcone, di Benevento, riferisce i nomi esattamente, mentre l’abate Alessandro Telesino li trascrive tutti in maniera errata, come risulta confrontando i due testi. Per il Telesino, infatti, Altacauda divenuta Alzacunda, Gructa si trasforma in Grintlia, e Summonte diviene Simontum.

   Perciò è prudente non tener conto delle distorsioni del nome con Alzaconda, Altacuda e considerare solamente Altacauda (20).

   Siccome sul significato della seconda parte della parola “ cauda” vi è libera discussione di opinioni, questa questione non può imbrigliare a tal punto lo storico da farlo mettere in un ginepraio inestricabile. Secondo Antonio Iamalio (21) deriverebbe da Caudium, e in questo fa sua l’opinione di Alfonso Meomartini, che scrive : “…Altavilla si è chiamata Altacauda fino ai bassi tempi, quasi a dinotar la parte estrema di caudio o Valle caudina…” ( in Miscellanea, p.47).

   Questa opinione è accettata dal dott. Angelo caruso : “… Non ci sembra possa dubitarsi che quest’ultimo autore abbia ragione…” (p.84).

   Altra posizione prendeva invece il Dott. Carlo Antonio Giordano e il Severini non esita

 

 

20) Carlo Antonio Giordano non pensando ad un semplice travisamento del nome di Altacuda in Altacunda, Alzacunda, si vedeva costretto a scrivere : “… Quale significato abbia la parola Conda e Cunda francamente non so con certezza…” ( p.55)

21) Antonio iamalio, Su e giù per il sannio antico. Spigolature archeologiche, Benevento 1911; in Miscellanea, p.47.

 

 

a riferirsi alla configurazione allungata dell’abitato (22).

   A solo titolo di associazione di idee mi piace ricordare che a Tufo, la parte inferiore del paese, effettivamente sviluppatasi in forma di coda, fortemente discendente, da secoli si chiama volgarmente codacchio, e a nessuno è venuto mai in mente di collegare tale nome con la voce Caudium.

   Lasciando perciò da parte l’etimologia, andiamo al punto fondamentale dell’origine di Altavilla. Dal Bellabona in poi un notevole numero di studiosi ha affermato, o per congetture o in forza dell’autorità degli scrittori precedenti, la successione Altacauda-Altavilla, e quindi l’identità effettiva delle due località. Il Caruso, infatti, scrive : “…Coloro che si sono occupati successivamente della storia di Altavilla hanno ripetuto, generalmente, quanto fu detto dal Bellabona; ma neppure essi hanno addotto alcun documento a riprova dell’identità di Altacauda con Altavilla….” (p. 74).

   E qui vengono i nomi di Francesco dé Franchi (1709), Francesco Crescitelli di Altavilla, che nel 1883 compose un breve scritto dal titolo “ Notizie storiche di Altavilla”, pubblicato dopo la sua morte, nel 1912. Si riducono a questa sentenza e opinione molti altri scrittori, come Jannacchini, Meomartini, Iamalio e, in qualche modo gli stessi Severini e Carlo Antonio Giordano.

   Ma quella che era una semplice supposizione di questi studiosi è divenuta un fatto storico, e questo per merito del Dott. Angelo caruso, il quale, dopo aver ricercato e studiato i documenti relativi ad Altacauda, ha potuto dimostrare il reale passaggio di nome - senza alcuna pretesa distruzione della prima e costruzione o ricostruzione della seconda- da Altacauda ad Altavilla : e questo in forza di una pergamena della Biblioteca Capitolare di Benevento, del 13 novembre 1183, ma insieme con il valido apporto di diversi documenti dell’Archivio di Montevergine. Se, infatti, la pergamena della Biblioteca Capitolare di Benevento ci presenta l’ultimo, dettagliato documento in cui si parla ancora di Altacauda, del suo giudice, della Chiesa di S. Pietro di Vellola, delle contrade Tora, Postia, Sassana, della fontana piédicastello ecc, la pergamena di Montevergine del 1220 ci mette di fronte al fatto compiuto del nuovo nome di Altavilla.

 

 

22) “…Lo chiamarono Altacoda, forse per la sua speciale configurazione, poiché, venendo da Benevento, dal punto in cui il Vellola si congiunge col Sabato presso il ponte dei santi, si scorge la parte più antica del paese sull’estremità di un alto colle, detto Ripe, che si prolunga a forma di coda e scende nella vallata sottostante…” ( M. Severini, Altavilla Irpina, ed. 1907, p.16). Se fosse provata questa provenienza del nome Altacuda o Altacoda, allora questo da un nome popolare si sarebbe sostituito un po’ alla volta ad un precedente nome o toponimo ufficiale, che, in questo caso, rimarrebbe ancora da scoprire.

 

  Dimostrata in questo modo la continuità del paese e la trasformazione del nome, il Dott. Angelo Caruso conclude il suo studio. Ma per lo studioso che ha sete di sapere di più, egli apre la strada sul nuovo nome : come e perché si passò da Altacauda o Altacoda ad Altavilla ? A questa nuova domanda egli non fornisce argomenti e documenti ma proferisce una sua personale opinione : “…. Non è impossibile - egli scrive- che il cambiamento del nome sia stato voluto da Emma Fraineta…”, figlia di “…Rogerius de Fraineta, nominata nei documenti del 1220 e del 1222 e del 1232, alla quale forse, dispiaceva di essere chiamata signora di Alta Coda..” (p.85).

   Ma se noi siamo al corrente quando troviamo, nei documenti a nostra conoscenza, la prima volta Altavilla, 1220, e quando compare l’ultima volta Altacauda, 1183, una ulteriore ricerca dovrà sforzarsi di accorciare le distanze di questo quarantennio per giungere, anche in questo, a conclusioni non opinabili, ma certe .

   Una prima grave difficoltà nell’attribuire il cambiamento di nome a Emma, figlia di Ruggero de Fraineta, proviene dal fatto che il documento del gennaio 1220 propone come feudatari Corrado Insuivilla e la stessa sua moglie Emma, figlia di Ruggero de Fraineta. Essa viene presentata come sposata in seconde nozze al suddetto Corrado, avendo avuto come primo marito Draco, da cui aveva avuto il figlio Nicola Draco, che in quel 1220 era già grande, tanto che partecipava, insieme con Corrado ed Emma, alla stipula del contratto e si sottoscrive all’atto.

   Intanto in questi documenti del 1183, 1220 e 1232 non si fa ancora parola di De Capua, mentre il Severini, sulla malsicura guida di Gazzella, afferma che Altavilla ( o Altacauda) fu concessa a quella famiglia da Guglielmo II il Buono ( +1189).

   Di qui si vede come il lavoro utilmente intrapreso dal Dott. Angelo Caruso sia solo il felice inizio di rimettere la storia di Altavilla sulla base sicura di documenti inoppugnabili, letti con debita preparazione paleografica e archivistica.

   Non misconosco i meriti del Severini per quanto si riferisce ai tempi più vicini a noi, specialmente per alcune statistiche molto utili e interessanti; ma per tutto il periodo feudale, non valgono le testimonianze di scrittori, che spesso presentano come fatti incontrovertibili quelle che sono le loro discutibili supposizioni e congetture.

   La ricostruzione della storia di un paese è come un edificio altissimo, un grattacielo, che quanto più è venerando per antichità, tanto più deve avere le fondamenta sicure e stabili.

   Di qui mi sia permesso di esprimere qualche mio pensiero, detto più a me stesso come riflessione personale che presentato some suggerimento a chi di questi suggerimenti non ha certamente bisogno, essendo bene all’altezza del compito assunto di animatori di un “Centro Studi e Ricerche” di storia locale.

   Le ricerche del paese vanno indirizzate per diverse direzioni particolari, che poi troveranno la sintesi nella fusione dei diversi aspetti, che si riassumono nella vita di Altavilla.

   Non trascurare perciò nessuno degli aspetti della vita di una comunità organizzata, come l’aspetto culturale, artistico, bibliografico, anagrafico, economico, religioso.

   E su quest’ultimo aspetto finora si è trattato troppo poco.

   Nello stesso Severini noi troviamo dedicate solo poche paginette.

   Vedendo perciò come il campo di studio e di ricerche si allarga immensamente, specialmente quando poi si considera la vita del paese nelle relazioni con tutto il mondo, esterno alle sue antiche mura, si impone di apprestare agli studiosi almeno i mezzi di propedeutica per gli studi particolari.

   Ho ammirato l’istituzione di una Biblioteca, che man mano crescerà e si arricchirà di opere utili, non solo per la cultura generale, ma anche per quella più particolare in ordine alle esigenze che si andranno imponendo. Ma qui mi piace avanzare cautamente e prudentemente una proposta: creare e affiancare un archivio in cui raccogliere i documenti che riguardano direttamente la storia del paese, privata, civile, religiosa. Reputando praticamente impossibile avere gli originali, tale archivio si dovrebbe impostare su copie meccaniche, eseguite secondo i più perfetti procedimenti moderni. Una équipe di studiosi e di giovani volenterosi dovrebbe mettersi in movimento alla ricerca dei documenti, dovunque esistenti. Man mano che si individuano, ricavarne le copie da depositare nell’Archivio.

   Iniziare ovviamente dagli archivi di cui già sono noti i fondi riguardanti il paese, come l’Archivio di Montevergine, l’Archivio provinciale di Avellino ( cui vorrei sottolineare l’importanza, per la vita privata del paese, dell’archivio notarile in cui giocano un ruolo particolarissimo i contratti matrimoniali, le donazioni, le disposizioni testamentarie, ecc.), e poi l’archivio parrocchiale, quello diocesano, senza trascurare l’Archiviio Vaticano, sempre ricco di documenti per la vita religiosa del paese, specialmente quando, per le più varie vicende storiche, gli archivi diocesani hanno subito gravi irreparabili perdite. Indispensabili gli archivi napoletani, particolarmente l’Archivio di Stato e quello della Società di Storia Patria, ma da non perdere di vista l’Archivio dell’Annunziata della stessa metropoli partenopea, e per Altavilla è di una estrema importanza l’archivio di Casa de Capua.

   Naturalmente, man mano che affluiranno i documenti nell’archivio, appositi razionali schedari agevoleranno le ricerche degli studiosi. Di qui il lavoro di ordinamento e di sistemazione secondo le più savie norme di archivistica.

   Questa proposta, è naturalmente solo abbozzata, e dovrebbe essere approfondita per il piano di attuazione, e così mettere veramente il paese all’avanguardia nel movimento culturale che deve partire dalla base se vuole radicarsi profondamente nella vita del cittadino. Così nell’aspetto religioso, scoprire e fissare tutte le espressioni di quella pietà religiosa popolare, oggi fortunatamente molto apprezzata da non pochi studiosi.

   Più si studierà con amore la vita del paese, e più si scopriranno campi nuovi di ricerca; vi saranno sempre facce nuove di questa ideale piramide nella vita concreta che ci avvolge.

   Per un paese feudale, come Altavilla, che è stato soggetto a baroni, conti, gran conti fino al 1806, è uno stretto dovere avere la documentazione sulla serie precisa e criticamente vagliata di tutti i suoi feudatari, come delle loro successioni, e dell’influsso, positivo o negativo, da loro esercitato sul progresso stesso del paese.

   I due volumi pubblicati dal Centro Studi e Ricerche vogliono essere l’inizio di una serie di pubblicazioni non solo di testi editi, divenuti rari, ed inediti di indiscusso interesse per la storia di Altavilla, ma anche di studi nuovi, condotti con competenza e serietà dagli studiosi che non mancheranno quando vedranno questo sodo movimento culturale che pervade il paese.

   E’ in questa luminosa visione che mi piace vedere Altavilla come la vide il Dott. Carlo Antonio Giordano e, così terminare con queste sue stimolanti parole : “… che i futuri storici di Altavilla… sotto gli auspici dei rinnovati studi storici e sulle orme indelebili lasciate dai Dottori Francesco Crescitelli e Carlo Giordano, diano ad Altavilla medesima una opera che a missione storica risponda e del paese sia degna…..” (p. 68).

   Che quest’augurio, formulato nel giugno del 1912, possa trovare ora la piena realizzazione, sotto l’impulso, efficace e perseverante, del Centro Studi e Ricerche E. Mattei. Così Altavilla Irpina darà un fermento nuovo di vita a se stessa, e si costituirà, per i comuni della Provincia, esempio emblematico verso un più felice e promettente avvenire.

   Santuario di Montevergine, 4 maggio 1985.

                                                                                     F.to    Giovanni Mongelli

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