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Gente di bottega : un maestro "scarparo"  ed il suo discepolo in un contratto notarile

del 1703

( Biblioteca Caruso. Protocollo notarile del Notaio Domenico Giordano, Anno 1703/1704 )

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( trascrizione e testo di Raffaele Sarti e Giuseppe Sabatino)

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   In passato, il lavoro subordinato e le questioni che ne potevano scaturire non erano materia solitamente contemplata negli statuti comunali ossia in quelle antiche norme che ciascuna comunità si dava per regolare la convivenza civile, la pulizia delle strade, il commercio, i rapporti con le autorità locali, ecc. Gli statuti infatti, nella maggior parte dei casi, prevedevano genericamente soltanto sanzioni a carico di coloro che procuravano un qualche danno ad altra persona. In Altavilla, l’arrecare danno, inteso in modo molto generico, era regolamentato al nr. XVI dei capitoli(per lo Statuto in vigore : leggi qui ).

   Nella nostra cittadina, come in tanti altri paesi, le forme di lavoro subordinato più comuni erano ovviamente legate al mondo agricolo pur tuttavia non mancavano anche quelle associate al lavoro domestico. In casi di questo tipo il rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro, soprattutto per i garzoni delle botteghe, poteva addirittura essere definito attraverso la stipula di un contratto notarile nel quale si stabiliva il servizio ed il corrispondente prezzo oltre, naturalmente, una serie di obblighi.

   Tutto ciò trovava fondamento nella locatio operarum prevista nel diritto romano ma era anche il frutto della diffusa convinzione che l’apprendistato, attraverso il quale si impartiva un determinato insegnamento, teso al conseguimento di una data formazione professionale, fosse da considerare sullo stesso piano di qualsiasi altra istruzione impartita dal maestro ai suoi discepoli. In pratica, così come veniva regolata la retribuzione del precettore al quale era affidata l’istruzione di un giovane, quasi sempre appartenente a famiglia benestante, altrettanto regolato era dunque il rapporto tra il maestro ed il garzone di bottega.

   La ricerca e le fonti consultate ci hanno permesso di individuare alcuni di questi contratti; in particolare ne abbiamo scelto uno intorno al quale riteniamo interessante fare alcune brevi considerazioni.

   Si tratta di un atto notarile con cui Antonio Criscitelli dispone che il figlio Francesco dimori presso la casa di Ferdinando Gaita per “ imparare l’arte di scarparo”. Nel documento, si legge ( tralasciamo le solite frasi di rito introduttive ):

 

Contrattoscarparo 1703a

 

18 novembre 1703. Altavilla

.......Antonio (Criscitelli) dà, loca e nell’arte pone Francesco, suo figlio, al suddetto Mastro Ferdinando per anni sei da hoggi incorrotti con patto però che detto Mastro Ferdinando habbia e debbia impararli l’arte di scarparo, manotenerlo a sue proprie spese, tanto di vitto cibario, come di verstirlo comodamente e posetivamente respetto la persona e nascita di detto Francesco, come anche tenerlo in sua casa di notte e di giorno e trattarlo quasi da figlio...Come si cascasse ammalato per infermità naturale come a dire febbre, quartana, terzana, pieghe, non causata da mali effetti prodotti da detto Francesco sia tenuto detto Mastro Ferdinando di governarlo di medicamenti ed altro .... ( 1 )

 

 

1) Ciò che si evidenzia prima di ogni altra cosa è il tono impositivo del genitore il quale.....dà, loca e nell’arte pone (il figlio).....per anni sei...... per imparare l’arte di scarparo.. ....

Trattandosi presumibilmente di un adolescente, e quindi di un soggetto giuridicamente incapace di agire, il genitore si presenta subito come legale rappresentante del figlio il quale, consapevole del suo status, mantiene un atteggiamento di accettata subalternità rispetto al padre.

Un’ulteriore considerazione da fare è poi quella riguardo   alla durata del rapporto di   lavoro. Mentre per i braccianti agricoli la durata si concludeva di solito in una prestazione di pochi giorni, quella del rapporto di lavoro dei garzoni era invece protratta nel tempo in considerazione del fatto che ad una prima fase di insegnamento, da parte del Maestro, seguiva la fase produttiva nella quale il discepolo collaborava fattivamente alla conduzione della bottega ed il cui allontanamento o abbandono rappresentava un danno per il titolare .

Analizzando più attentamente il contratto, esso rispecchia addirittura ciò che oggi è previsto in materia :

a) La forma. Consiste nelle due dichiarazioni di volontà, sia del datore che del prestatore di lavoro .

b) La causa. Consiste nello scambio tra il lavoro e la retribuzione. Più precisamente, consiste in uno scambio vincolato alla reciprocità per cui l’obbligazione e la prestazione di una parte è in funzione della obbligazione e della prestazione dell’altra .

In questa parte del contratto appare evidente, poi, l’importanza attribuita alla figura del maestro visto che l’istruzione tecnica si poneva sullo stesso piano di qualsiasi altra istruzione impartita ad un discepolo. L’attenzione, infine, che il ragazzo fosse   manotenuto ...respetto la persona et nascita..... e trattarlo quasi da figlio....palesa la preoccupazione del genitore che il ragazzo fosse rispettato come persona e considerato al pari di un figlio. Il fatto, in ultimo, che esso debba dimorare …..in sua casa di notte e di giorno dimostra con sufficiente evidenza che il servitium non riguardasse soltanto lavori pertinenti all’attività della bottega ma anche alla casa, purché leciti e non contrari alla legge.

Gli obblighi del discepolo dunque rievocano ancora una volta il significato di estrema, generale sottomissione alla superiore autorità anche se vi è alla pari lo scambio tra lavoro e retribuzione anzi, più precisamente, uno scambio vincolato alla reciprocità per cui l’obbligazione e la prestazione di una parte è in funzione della obbligazione e della prestazione dell’altra ( a ).

(a) Pietro Cuomo, Contratti di lavoro, in : Samnium, fascicolo nr. 1, 1985, pg. 36/64.

 

    Nel caso però che ( il ragazzo ) si imprattasse di qualche male gallico di qualsivoglia specie  ò pure s’arrissasse con qualche persona per suoi capricci e non per defenzione del detto Mastro Ferdinando....non sia tenuto detto Mastro a cosa alcuna.....( 2 )

 

2) In questa parte del contratto le implicazioni cui potrebbe andare incontro il ragazzo sono responsabilmente distinte fra quelle volontarie ovvero se si.........imprattasse di qualche male gallico cioè la sifilide, ò pure s’arrissasse con qualche persona ... ossia se venisse alle mani con qualcuno, e fra quelle involontarie ovvero quelle nelle quali il ragazzo potrebbe incappare accidentalmente....come a dire febbre, quartana, terzana, pieghe…...o per defenzione  cioè per la difesa del detto Mastro Ferdinando...............

E’ interessante, in questa parte del contratto, il riferimento ad una delle malattie più nefaste dell’epoca, la sifilide, detta il “male gallico” perché portata in Italia dai francesi, ossia dalle truppe di Carlo VIII durante la sua discesa a Napoli. Contestualmente sono menzionate però anche altre malattie, quelle cioè più comuni in Altavilla come un certo tipo di febbre malarica, detta quartana e terzana, oppure una sorta di malattia, detta plica, dovuta soprattutto ad uno stato di denutrizione e di cattiva alimentazione.

E volendo ancora soffermarci sulla estrema attualità del contratto e fare un raffronto con la normativa attuale, è particolarmente evidente come esso in pratica preveda l’assistenza alle malattie, cosa che non è facilmente riscontrabile in altri contratti stipulati altrove, soprattutto nell’avellinese e nel beneventano dove solitamente il Maestro non si obbligava fino a questo punto.

 

   Per converso, promette esso Antonio che detto Francesco debbia stare di continuo per detti sei anni in casa del suddetto Mastro Ferdinando e farli tutte sorte di servitù purché siano leciti e non disapplichino il medesimo da detta Arte ed in caso detto Francesco si partisse dalla bottega e casa di detto Mastro Ferdinando ò pure facesse qualche mala atione in rubare qualche cosa in casa ò bottega, in tal caso esso Antonio promette restituire e rimborzare a detto Mastro Ferdinando omnia oblata ( 3 );

 

3) Qui il genitore, dopo aver dato le opportune rassicurazioni perché il ragazzo fosse sempre disponibile a fare ogni sorta di cosa, purché lecita, interviene ancora per garantire al Maestro il risarcimento dovuto in caso di furto o danno causato dal ragazzo.

 

   E se detto Francesco quando sarà in parte imparato di detta Arte se ne volesse partire dalla casa e bottega ... sia lecito al medesimo Mastro Ferdinando protestare e debbia correre a suo prò carlini due il giorno e poterli dimandarli sopra la parte e portione così paterna che materna di detto Francesco ed in specie essi Padre e figlio di Criscitiello obbligano un territorio detto San Trifone.....(4)

 

4) In questa parte del contratto, all’obbligo di non potersi allontanare dalla bottega - se non dopo sei anni - corrisponde l’impegno del genitore al pagamento di carlini due per ogni giorno di assenza del ragazzo. A garanzia di tale obbligo, il genitore concede addirittura un’ipoteca su un territorio a San Trifone.

Si consideri che un tale risarcimento, quello cioè di due carlini al giorno, era sproporzionato rispetto al solito salario quotidiano, addirittura era in palese contrasto con quanto previsto negli statuti di Altavilla, ossia nelle norme di comportamento del vivere quotidiano;  norme nelle quali era previsto, in casi del genere, soltanto un risarcimento uguale al danno subìto.

E’ questa chiaramente una forma coercitiva per il rispetto dei patti e corrisponde ad una autonomia molto ampia delle parti che contraevano questo tipo di contratti

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